Riviera Cocktail (i)

Heinz Bütler

Nessun fotografo ha documentato la vita di società e il mondo della cultura in Costa Azzurra nei dorati anni cinquanta con maggiore ampiezza, attenzione più vigile e ironia più sottile dell’irlandese Edward Quinn (1920–1997). Per più di un decennio Quinn si è avventurato, con delicatezza pari alla tenacia, nella giungla dell’alta società sulla riviera francese, portando alla luce tesori incomparabili, in questo fatuo epicentro della bella vita e dei grandi affari, dell’arte, la musica e la letteratura. Il lascito di Quinn comprende più di 100.000 negativi, decine di migliaia di fogli contatti, migliaia di copie in tutti i formati, documenti, lettere e foto dell’epoca che iniziò quando a Nizza fu esposto un manifesto col seguente testo: “Eddie Quinero, le célèbre guitariste électrique. Pour la première fois sur la Côte d’Azur. Chez Léontine, Cabaret Américain, samedi 24 et dimanche 25 septembre 1949.” (“Eddie Quinero, il celebre chitarrista elettrico. Per la prima volta in Costa Azzurra. Da Léontine, Cabaret Américain, sabato 24 e domenica 25 settembre 1949.”)

Star del cinema, stelline, pittori e scultori, giocatori d’azzardo, ex re, musicisti jazz, l’alta nobiltà, armatori, registi, chansonnier, politici, corridori automobilistici, pin up, direttori d’orchestra, scrittori, primedonne, playboy, coreografi, produttori cinematografici – tutti costoro sono i protagonisti di uno spettacolo allestito da società e cultura all’insegna di un’eleganza abbagliante. Sulla riviera francese, negli anni cinquanta, il jet-set e il demi-monde vivono passando da una serata di gala all’altra, mentre le personalità del mondo della cultura vi preferiscono piuttosto la quiete dell’entroterra, dove hanno preso dimora subito dopo la fine della guerra, quando le case erano ancora abbordabili. Fulcri della mondanità sono il festival del cinema di Cannes, e hotel di lusso come il Carlton, nelle cui suite la “bella Otero”, ballerina e cantante di music-hall, cortigiana e femme fatale, durante la belle époque faceva girare la testa a re e milionari. Pare che, per il progetto delle cupole nere gemelle del Carlton, l’architetto si fosse ispirato al mitico seno della “bella Otero”. Più tardi poi ci furono dei problemi con un giornalista dal comportamento villano, tale Benito Mussolini, che fu invitato a lasciare la hall. Nella stanza numero 328, nel 1922, Aristide Briand suonava il violoncello.

Nella sua memorabile chanson, tratta dall’operetta Méditerranée, Tino Rossi canta nel ritornello: “Méditerranée aux îles d’or ensoleillées, aux rivages sans nuages, au ciel enchanté.” (Mediterraneo dalle assolate isole d’oro, dalle rive senza nuvole, dal cielo incantato.) Ma l’orizzonte mondiale è cupo, a tratti. Gli anni cinquanta sono un decennio di violenza e incertezza: la minaccia atomica, le guerre civili nel Congo e in Algeria, la crisi di Suez e di Cipro, i disordini razziali a Notting Hill e a Little Rock, la caccia alle streghe del senatore McCarthy.

In Costa Azzurra si preferisce guardare altrove, rivolgere lo sguardo a Nat King Cole, che allo Sporting d’Eté di Monte Carlo, sotto il cielo stellato, e col rumore del mare alle spalle, canta “True Love”. Gli esistenzialisti e le loro muse, al Vieux Colombier di Juan-les-Pins, si dondolano a piedi nudi e guancia a guancia al suono di “Petite fleur” di Sidney Bechet. La luna illumina il caviale. Liz Taylor arriva a Saint-Jean-Cap-Ferrat con il suo seguito. 

James Dean diviene l’idolo di una gioventù che si ribella all’ambiguo clima regnante, al conformismo di un ambiente piccolo-borghese. Dall’altro lato vi è chi, in preda allo spavento, vede nel juke-box un pericolo per la morale corrente e nel rock and roll una follia musicale e un’anarchia. La plastica sostituisce la bachelite, si inventa il viaggio organizzato, si supera il muro del suono, si conquista lo spazio. Arrivano i “teenager”. Dopo il suo scandaloso esordio letterario, il bestseller Bonjour tristesse, all’hotel Carlton Françoise Sagan sta lavorando al suo nuovo libro Un certain sourire. Esce Malone meurt di Samuel Beckett. Charles M. Schulz inventa i “Peanuts” e la Citroën lancia la DS, La Déesse, la dea. A Hollywood si conclude la grande epoca degli studios. 

Al Vieux Colombier di Juan-les-Pins Juliette Gréco canta le sue canzoni, scritte per lei da Jean-Paul Sartre e Raymond Queneau, indossando pullover e pantaloni neri – quanto basta per provocare uno scandalo. La bella vita sul Grand Boulevard, dove ci si mette in mostra, rassomiglia a un romanzo a puntate ambientato in una sorta di società-caldaia, mantenuta in funzione dai rotocalchi locali giorno e notte, alle massime temperature. E nel paese degli eterni sorrisi davanti all’obiettivo è ancora possibile, con l’astuzia e qualche appoggio, fotografare liberamente, prima che nel corso degli anni sessanta il denaro, i contratti rigidamente orchestrati con la TV e la stampa, gli agenti e gli addetti PR regolamentassero l’accesso alle star, e prima che si affermasse definitivamente il principio dei paparazzi.

Edward Quinn vagabonda per le notti di gala tra Cannes e Monte Carlo. Fotografa le donne più belle e le meglio vestite dell’epoca con la colonna sonora del momento nell’orecchio: Nat King Cole con “Unforgettable”, “Autumn Leaves” e “True Love” – la canzone cantata da Grace Kelly in Alta società. Sinatra canta “You Make Me Feel So Young”, Édith Piaf “Hymne à l’amour” e Charles Aznavour “Tu te laisses aller”. 

La Leica e la Rolleiflex di Edward Quinn scattano all’impazzata. Click around the clock: Winston Churchill è alloggiato a Cap d’Ails, nella villa Capponcina di Lord Beaverbrook. Silvana Mangano e Gina Lollobrigida giocano a bocce nella villa Casa del Mare di Dino De Laurentiis, con Federico Fellini e Giulietta Masina che le guardano. A Menton T. S. Eliot trascorre la luna di miele con la giovane moglie Valerie. Onassis esce da un nightclub di Monte Carlo con Maria Callas; la primadonna si innamora dell’armatore. Colette procura a Audrey Hepburn il ruolo di protagonista in Gigi a Broadway. Vivien Leigh va in crociera col marito, Sir Laurence Olivier. Ginger Rogers balla al festival del cinema di Cannes. Liz Taylor scopre un collier e degli orecchini abbinati, prezzo 500.000 dollari. Gianni Agnelli cammina col bastone in seguito a un incidente d’auto. Josephine Baker, Ella Fitzgerald, Marlene Dietrich, Maurice Chevalier, Charles Aznavour, Sammy Davis Jr. e Eartha Kitt si esibiscono in serate di gala allo Sporting d’Eté di Monte Carlo; per l’entusiasmo, Gary Cooper lancia a Édith Piaf delle rose sul palcoscenico. Juan Manuel Fangio e Stirling Moss vincono per due volte a testa il Gran Premio di Monaco. Jean Cocteau dipinge la villa Santo Sospir a Cap Ferrat, in cui vive per diversi anni. James Stewart fa il bagno in mare, Somerset Maugham fuma a letto. Sir Thomas Beecham si mette un rododendro all’occhiello. La storia d’amore tra Kim Novak e Cary Grant è tra le notizie di rilievo al festival del cinema del 1959. Lo Scià di Persia scende dal suo aereo privato. Alfred Hitchcock serve il caffè a Grace Kelly sul set di Caccia al Ladro. Marlon Brando ha fama di essere il ragazzo “pin up” degli intellettuali d’America. Aldous Huxley prende parte a un seminario di parapsicologia a Vence. Alle nozze di Sidney Bechet e Elisabeth Ziegler ad Antibes il jazzista balla con una degli invitati, Mistinguette. Alla villa La Galloise Pablo Picasso disegna coi figli Claude e Paloma. Edward G. Robinson e Kirk Douglas sono intenti a parlare davanti all’hotel Carlton. Brigitte Bardot balla un mambo scatenato in E Dio creò la donna. Quinn documenta la scena con successo durante le riprese: “Ho visto alcune delle foto del mambo nell’ufficio di PARIS MATCH. Se ne ha delle altre più eccitanti con la Bardot in altre pose provocanti o altre fasi dello spogliarello, me le mandi per cortesia. Fawcett ne vuole una scelta. Tutto quello che portiamo viene pagato. Il resto torna a Lei. Se non mi può essere d’aiuto, La prego di farmelo sapere. Cordiali saluti, George Harold.”

Che la vita è altrove, Edward (“Ted”) Quinn lo capisce ben presto. Non nella povera Dublino dove è nato. Non a Belfast, dove suona la chitarra hawaiana in una band, sopravvivendo a un attacco aereo tedesco all’interno di una chiesa. Non come radiotelegrafista nella Royal Air Force, e neanche negli aerei sgangherati della Chartair, nei quali fa la spola tra l’Africa e l’Europa, nel primo dopoguerra.
Nel 1949 per Edward Quinn è chiaro dove porta il tram chiamato desiderio: Côte d’Azur. Anche qui all’inizio si arrabatta come musicista (chitarra, canto, contrabbasso). Attratto dall’ “eleganza tranquilla e demodé” di Monaco, prende in affitto un appartamentino a Monaco-Ville, con vista sul Palazzo dei Principi. Dapprima Ted punta l’obiettivo della Kodak Retina presa a prestito su tutto ciò che promette di fruttare del denaro. Per esempio sulle navi da guerra HMS Mermaid e HMS Magpie, ancorate al porto di Monaco. Quinn vende all’equipaggio in totale cento foto ricordo della loro nave, ma non guadagna nulla, perché deve far ingrandire le foto da un tecnico. Quinn fotografa anche all’interno dei tribunali, finché scopre ciò che interessa davvero ai giornali e alle riviste: People in the News. Come materiale illustrativo, l’ American National Enquirer invia delle copie di foto di cui la redazione è ghiotta: “As you can see, we prefer the bikini swimsuit and the type of figure that fills it well.” (“Come vede, preferiamo i bikini e il tipo di fisico che li riempie bene.”)

Con Gret, la sua ragazza svizzera, Ted va alla scoperta della costa e dell’entroterra con una cabriolet di Mathis, ed è sempre più affascinato dalle imprese dei ricchi e belli, che vi si riprendono dalle fatiche della fama e del far soldi. La tecnica è apprendibile. L’occhio, o ce l’hai o non ce l’hai. Il fascino esercitato su Quinn dal fuoco d’artificio della società in Costa Azzurra lo induce ben presto a fare della fotografia la sua professione definitiva, investendo nell’acquisto di una Rolleiflex e di un vecchio ingranditore.
Le prime foto nate dalla collaborazione di Gret Quinn e del marito, ingrandite, archiviate e inviate a riviste, rotocalchi, agenzie e giornali della domenica, rientrano nella categoria della fotografia di pin up. Agenzie modelle, in Costa Azzurra ancora non ce ne sono. Nella sua ricerca di bellezze sulla spiaggia, che con l’aiuto di foto allettanti cercano lavoro a Cinecittà o a Hollywood, Quinn può contare solo su di sé. Da articoli su riviste specialistiche è venuto a conoscenza di materiali di scena utili quando si tratti di rendere più vivace una foto. Cianfrusaglie, per esempio, da disporre intorno alla modella dilettante, per spezzare la monotonia della sabbia, e accendere le fantasie dell’osservatore. Anche una chitarra, posata sulla sabbia, si presta a conferire un “tocco particolare” a una foto. Per le foto in bianco è nero veniva consigliato come fondotinta il N25 della Max Factor , per le foto a colori il N3. Dal punto di vista attuale, dal repertorio di pose e contorsioni delle pin up dei primi anni ’50 scaturisce a volte una specie di comicità involontaria. Allo stesso tempo esso documenta una sorta di innocenza erotica, del tutto scomparsa nel frattempo da quest’ambito della fotografia, che sorge dalla tensione tra il voler mostrare tutto, e il non poterlo fare.
Sempre più agenzie si interessano ai ritratti delle pin up di Quinn, e alle sue feature stories, e attraverso l’International News Service americano per Edward Quinn si apre uno sbocco verso l’attività giornalistica. E alla fine vende le sue fotografie della bella vita sugli yacht, nelle suite d’albergo e sul lungomare anche a riviste rinomate come PARIS MATCH e LIFE.

Nell’archivio di Edward Quinn ci si può imbattere in attrici, divenute più tardi delle star, che iniziarono la loro carriera come pin up, e, come nel caso di Audrey Hepburn, come perfette sconosciute. Audrey Hepburn – riportata in un dispaccio di agenzia come Audrey Hopbern – arrivò in Costa Azzurra nel 1951, per un ruolo da attrice non protagonista nel film Monte Carlo Baby. Quinn riconobbe il suo talento come attrice e propose Audrey Hepburn per uno shooting nell’entroterra. Audrey mandò le foto al suo agente a Hollywood, ottenendo così il ruolo di protagonista femminile del film Vacanze romane, per cui vinse anche un Oscar.

A poco a poco, in spiaggia e sullo schermo, si afferma una sorta di sex appeal completamente diverso dallo stile e l’eleganza à la Hepburn, Bergman, Kelly, Morgan. E non vi è attrice esordiente che rappresenti più chiaramente il nuovo trend verso l’esplicito del “sex kitten” Brigitte Bardot, tanto giovane (18 anni) quanto sconosciuta, quando Edward Quinn la fotografa per la prima volta.
Fino al 1956 con la Bardot si instaura una collaborazione basata su un’intesa totale. Da questo dipende il significativo bottino fotografico aggiudicatosi da Quinn, il quale documenta BB e il trambusto intorno al suo personaggio con una spigliatezza e una leggerezza più autentiche rispetto alle immagini del fotografo privato che accompagna la star, ormai superpagata. D’ora in avanti, Brigitte Bardot in molte fotografie non appare che come l’icona freddamente inscenata dell’industria cinematografica. 
Per fortuna c’è ancora Jayne Mansfield, nel momento in cui si mostra ai fotografi sul pontile, mentre in un’altra foto di Quinn delle fan in bikini stanno in adorazione di Gary Cooper in giacca e cravatta, davanti alla facciata da pasticceria viennese dell’hotel Carlton di Cannes. Dalla storia illustrata in cui Quinn riprende il flirt tra Kim Novak e Cary Grant nel 1959 si potrebbero trarre foto promettenti per pubblicizzare una storia d’amore mai girata a Hollywood.

Si bussava in tutta ufficialità alla porta della stanza. Se qualcuno apriva, si diceva: “Mi manda la tal rivista o il tal giornale per fotografarla.” Bisognava essere molto convincenti. E io lavoravo anche per riviste come PARIS MATCH, il che non era male. “Sono di PARIS MATCH.” Risposta: “Okay, torni tra dieci minuti.” Dieci minuti dopo ripetevano un’altra volta “tra dieci minuti”. Non bisognava mollare.

Edward Quinn è a caccia di quelle immagini che i giornali di larga diffusione venderanno poi a milioni di lettori come squarci nella vita reale dei ricchi e belli. Fotografa ciò che può sfruttare a fini commerciali, assicurandosi una discreta rendita. Contribuisce così a soddisfare la domanda di glamour della stampa scandalistica, offrendo però anche foto di qualità. L’episodio della Loren durante il festival del cinema di Cannes del 1955 lascia presupporre che Quinn rappresentasse un incrocio tra un’audacia calibrata e quel genere di fascino che apre tutte le porte.

Conferenza stampa nella camera d’albergo della Loren. La ressa dei fotografi è al lavoro, mentre Quinn preferisce sparire in bagno. In un primo momento ci resta, uscendone solo quando la calca si scioglie. L’affascinante “Ted” si scusa con Sophia, e motiva il suo comportamento pregandola di poter fare un paio di foto a modo suo, come usa fare solitamente. Sophia Loren si persuade, e Quinn, come sempre, utilizza quello spazio a metà tra l’atteggiarsi a una posa e la spontaneità, che molte star gli concedono con evidente piacere.

Mi è stato d’aiuto il fatto che si avesse così tanta fiducia in me. Non ho mai dovuto mostrare le foto, una volta pronte. La gente sapeva che non avrei pubblicato foto malriuscite. Come si può immaginare, è facile fare foto scadenti. Tutto dipende dall’attimo in cui si scatta. È la parte più esaltante della fotografia. In ogni frazione di secondo un’immagine nuova. Qualcuno si è mosso, la luce è un po’ cambiata. Bisogna dare sempre il massimo. Non esiste la foto perfetta. Si mette insieme, tentando di ottenere il meglio da ogni situazione. Sono stato influenzato da molti grandi fotografi, in primo luogo da Cartier-Bresson. Nelle sue foto tutto concorre perfettamente al risultato, sfondo e istante. Era in continua attesa. Lavorava senza dare assolutamente nell’occhio, senza apparire praticamente mai. Ho messo in pratica anch’io questo stile lavorativo, in ogni situazione. L’ho tenuto presente, tentando di agire di conseguenza. Anche nel settore giornalistico, dove si ha a che fare con le star del cinema. Anche lì mi sono sempre sforzato di cavar da loro il meglio.

Senza fare il ruffiano, Quinn riesce a strappare istanti relazionali produttivi dal punto di vista fotografico, che a noi come osservatori danno sempre la sensazione di poter percepire, dietro la facciata delle star e di Hollywood, anche la persona in veste privata. Ma forse è autentico proprio quello che sembra inscenato e fa l’effetto di essere brillantemente interpretato, con naturalezza. Si confà a Quinn, perché anch’egli ottiene i risultati migliori sul filo sottile in bilico tra astuzia e amabilità. L’estetica filmica in bianco e nero rapisce le immagini migliori, trasportandole definitivamente nel regno della nostalgia e del desiderio, dove il non detto sortisce effetti più intensi dell’esplicito senza misteri. E poi le star e le celebrità non hanno nulla da temere dall’antipaparazzo Quinn. Quinn non fa fare brutta figura a chi si mette in mostra, anzi, li raffigura al contrario come vere star, come essi stessi preferiscono vedersi.

Quinn può fare visitine ovunque, quando vuole, e fotografare come vuole – anche sul Christina, lo yacht di Onassis, sul quale l’armatore, a scopo pubblicitario, invita di preferenza i vip di Hollywood e del mondo politico, tra cui anche Winston Churchill. Non c’è da meravigliarsi che Quinn vi si imbatta in John Wayne, che sta squadrando, quasi fosse una colt, una cinepresa Pathé. 
Somerset Maugham si fa fotografare a letto mentre fuma, stoico. Quinn fa bighellonare Marlon Brando per la minuscola Bandol insieme alla fidanzata (figlia di pescatori, non vi sarà happy end). Per Edward Quinn Grace Kelly nel 1955 fa un giro attraverso il Palazzo dei Principi di Monaco, finché arriva Ranieri III, ritardatario: stretta di mano, e un anno dopo, le nozze. Ma le cose a quel punto stanno già cambiando, e per i cacciatori di immagini come Quinn le prospettive si vanno restringendo sempre più. La principessa Gracia porta con sé il proprio fotografo personale e il principe Ranieri ha assunto un addetto PR: “MM. Les photographes” sono “autorizzati a metter piede sulla pista da ballo e hanno quattro minuti a disposizione per fotografare la tavola dei principi.”
Sfogliando la cronaca della riviera di Edward Quinn ci troviamo di fronte a molti indovinelli divertenti. L’uomo corpulento con il cappello e gli occhiali da sole, la mano destra nella tasca del completo gessato, appena sceso da un vagone ferroviario con la scritta carrozza, è un mafioso, un detective o una guardia del corpo? È l’ex re egiziano Faruk, che sta scendendo a Nizza da un Train bleu, il lussuoso collegamento ferroviario tra Parigi e la riviera. Chi è che gioca a tennis come Jacques Tati in veste di Monsieur Hulot? Peter Ustinov. Chi è l’anziano signore elegante che sorride a una bella donna visibilmente più giovane, la quale a sua volta sorride all’obiettivo del fotografo: il padre, il marito, o l’amante? La foto di Quinn mostra Zsa Zsa Gabor e l’ottantenne Aga Khan III davanti alla sua villa Yakymour, nel 1955. Il GI, che su una foto di Quinn si appoggia con il fucile a un muro, non è autentico, ma è Frank Sinatra, che in Cenere sotto il sole fa la parte di un GI finito in Costa Azzurra a causa dei disordini alla fine della seconda guerra mondiale.

Solo i libri Stars Off The Screen (1994), Edward Quinn, Fotograf, Nizza (1997), e le importanti mostre e retrospettive degli ultimi anni di vita hanno affrancato definitivamente il “cocktail Riviera” fotografico di Quinn dal settore dei rotocalchi, provando le qualità di questa parte importante del suo lavoro in base a criteri artistici. 
Si è verificato che le migliori foto di Quinn traggono vita proprio da ciò che mostrano e da come lo mostrano, così come da quello che lasciano inespresso o fruttuosamente in sospeso a favore delle nostre fantasie, delle speculazioni e dei desideri. Le immagini fanno anche capire il sistema di riferimento fotografico in cui Quinn si muoveva, laddove nelle sue foto spontaneità e composizione si ricompongono necessariamente in una visione unitaria. E anche nella mischia delle feste più affollate la virtuosità di Quinn nello sparire dal mucchio al fine di cercare la propria visuale personale al di fuori del branco dei fotografi si è dimostrata vincente.

Non appena Edward Quinn si fu stabilito in riviera come fotografo professionista, cercò di fare la conoscenza di Pablo Picasso. Per la stampa internazionale Picasso era una star mediatica, le foto di Picasso vendevano bene, come quelle delle grandi star dell’epoca. Già dal primo incontro con l’artista, la strategia di Quinn di rinunciare con coerenza ai metodi lavorativi dei fotografi del jet set, che assediavano l’artista in ogni occasione (pubblica), si rivelò vincente. E quando nel 1951 i fotoreporter, di ritorno dalla mostra di ceramiche di Vallauris, erano già in cammino verso le agenzie con le loro foto di Picasso, Quinn rimase alla mostra, si presentò, e chiese a Picasso se lo poteva fotografare con i suoi figli Claude e Paloma. Le foto piacquero talmente tanto a Picasso da indurlo a concedere a Quinn libero accesso al suo atelier di ceramista a Vallauris. Non solo l’artista non si sentiva disturbato da Quinn (“Lui, il ne me dérange pas.” – Non mi disturba, lui), ma egli assunse un ruolo attivo nel progetto fotografico di Quinn, poiché anche a lui sembrava sensato attuare una seria rappresentazione fotografica della propria opera e del proprio mondo.

Non appena iniziai a fotografare, Picasso si concentrò sulla propria espressione, come se volesse mostrarsi dal suo lato migliore. Dopo pochi minuti era già così occupato o immerso in una conversazione da essersi completamente dimenticato di me. Era esattamente la situazione che mi occorreva per fargli foto spontanee e credibili. Per far questo ho usato la macchina come una matita, per disegnare le molteplici attività di Picasso nel suo ambiente usuale.

A nessun altro fotografo Picasso ha consentito di entrare in modo paragonabile nella sua vita privata, senza mai voler vedere una foto prima della pubblicazione. Le fotografie di Quinn ci permettono di penetrare in un mondo quotidiano e lavorativo in cui si possono scoprire anche negli angoli più nascosti tracce del processo creativo, opere terminate e da terminare – il tutto in una sorta di ambiente e Gesamtkunstwerk tra i poli della quotidianità e dell’arte, tra intensità vitale e ossessiva immersione nel lavoro – nella solitudine dell’entroterra, un mondo alternativo rispetto all’arena del glamour sulla costa. 

Io e Picasso abbiamo avuto un’ultima conversazione telefonica alcuni giorni prima della sua morte. Aveva la voce strana, e io avevo la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Disse che ci saremmo dovuti vedere presto. Quelle parole furono molto importanti per me, quale conferma della nostra amicizia. Era un anno che non andavo da lui. Picasso non voleva più farsi fotografare. Era cambiato.

L’8 aprile 1973 Pablo Picasso muore. Il suo mondo costituiva l’ultimo legame di Edward Quinn con la Côte d’Azur. Il futuro lo porta sì nell’atelier di Georg Baselitz a Imperia, ma soprattutto a Derneburg, nella Germania del Nord. Ha inizio l’ultima storia artistica nella fotografia di Edward Quinn. Georg Baselitz conosce i libri di Quinn su Picasso e acconsente a una collaborazione di paragonabile intensità e ampiezza. 

Nel 1992 Edward e Gret Quinn si trasferiscono in Svizzera. Nel solaio dell’Edward Quinn Archive si trova il luogo in cui mezzo secolo dopo la Côte d’Azur dei golden fifties ai trasforma in una regione misteriosa. Gret Quinn siede all’ingranditore, procurando ai protagonisti e ai non protagonisti di allora un fugace comeback: a volte dal negativo è difficile presagire chi vi sia ritratto. Ma poi, sulle stampe, le vaghe e illeggibili zone grigie si trasformano nelle star che popolano la nostra memoria cinematografica, come per esempio Audrey Hepburn. Ed ecco ricordi di Sabrina (1954), con Humphrey Bogart, William Holden, regia di Billy Wilder. Di Colazione da Tiffany, di Blake Edwards (1961). Di My Fair Lady, con Rex Harrison, regia di George Cukor.

Le fotografie di Edward Quinn si possono guardare e leggere come un’enciclopedia di esistenze strappate alla quotidianità, che si svolgono ai piani nobili, nel paese del sorriso. Nessuno lavora, nessuno soffre, nessuno piange. O si è una star o una di quelle comparse che ogni tanto, per caso, fanno capolino nell’immagine, ampliando con le loro piccole apparizioni molte foto fino a farle divenire una storia illustrata. E come nei ritratti delle star, dove la transizione tra ruolo e quotidianità, messinscena e naturalezza è sfumata, anche le sue foto delle personalità del mondo della cultura del tempo mostrano artisti e scrittori come parte di una “atmosfera collettiva dell’epoca” (Boris Groys), nella quale il bisogno di autenticità non è ancora esigenza estetica.

Ma Quinn rivela il “vero” Picasso, la “vera” Zsa Zsa Gabor? Ma la fotografia è in grado di penetrare qualche forma di verità del soggetto ritratto? I ritratti di artisti di Quinn, e in particolare le sue foto di Picasso, mettendo in rilievo così tanti aspetti della personalità dell’artista, sollevano domande profonde sulla verità della raffigurazione fotografica.

Nella sua collaborazione col marito, Gret Quinn sin dall’inizio era responsabile dell’elaborazione, dell’amministrazione e dell’archivio, che alla rubrica “star” va da Aimée, Anouk fino a Zanuck, Darryl, sotto “cultura” da Aragon, Louis a Warhol, Andy e sotto “celebrities” da Adenauer, Konrad fino a Zita, ex Empress of Austria. Nel viaggio attraverso il tempo sulla Costa Azzurra degli anni ’50 si può fare affidamento sul senso dell’orientamento di Gret Quinn. E ciò che nell’archivio a prima vista appare improvvisato e impenetrabile, cercando Orson Welles, Kirk Douglas, Alain Delon, Cary Grant, Gina Lollobrigida, Le Corbusier, Simone Signoret e Roberto Rossellini si rivela un cosmo fotografico ponderatamente ordinato.
Dozzine di raccoglitori in una vasta gamma di colori organizzano il mondo della Costa Azzurra nei golden fifties in innumerevoli fogli contatti a seconda del nome e della categoria. Sulle buste da lettera – sistemate in scatole di champagne – vi è il cast per un eccellente film hollywoodiano; nelle buste la parata delle star, dei personaggi famosi, gli artisti, i letterati, su negativi 6x6 e di piccolo formato. Poi le serie delle vintage prints, ma anche stampe formato gigante, che si potevano ammirare in mostre su Edward Quinn. 
Molti protagonisti della cronaca della Riviera di Quinn sono ormai dimenticati. Altri, anche se morti da tempo, continuano a vivere nella coscienza cinematografica collettiva. E tra l’altro, entrando nel mondo di Quinn, si acuisce comunque la consapevolezza della fugacità, e del definitivo

THE END